Storia della Partecipanza di Sant’Agata Bolognese
La Partecipanza nell’opera di A. Barbieri | Mostra documentaria
La storia della comunità di Sant’Agata e dell’ affermarsi all’interno di essa dell’istituto partecipante nei secoli XV-XVIII è caratterizzata essenzialmente dal conflitto tra il consiglio della comunità e le famiglie partecipanti escluse da esso per il controllo della amministrazione delle terre comuni.
Nel 1488 un accordo stipulato tra i rappresentanti del popolo e quelli del consiglio pose la prima limitazione al potere di quest’ultimo, stabilendo che qualunque intervento riguardasse le terre comuni che esulasse dalla normale amministrazione per essere valido doveva essere deliberato da una assemblea a cui fossero presenti almeno i 2/3 di tutti i capi famiglia.
Nel 1508 l’istituzione giuridica da parte dei rappresentanti del governo di Bologna del nuovo consiglio della comunità ne sancì definitivamente la chiusura in senso oligarchico, poiché, in base ai nuovi capitoli, la carica di consigliere, anche se ratificata dal governo bolognese, si trasmetteva ereditariamente.
Parallelamente alla chiusura del Consiglio si realizzò nel corso del secolo XVI anche la chiusura delle famiglie originarie, o che comunque vantavano una residenza immemorabile, di cui facevano parte tutte le famiglie rappresentante in consiglio.
Si vennero così a creare all’interno della comunità santagatese due nuclei di famiglie partecipanti: quelle rappresentate in Consiglio e quelle escluse da esso, definite il ”popolo partecipante”, o significativamente, i ”poveri partecipanti” ed anche “l’Universitas partecipante” .
Sebbene il consiglio cercasse di amministrare a propria discrezione le terre comuni, compiendo anche non poche operazioni finanziarie su di esse, l’Universitas partecipante acquistò un peso sempre più rilevante nella vita pubblica comunale, riuscendo di fatto ad imporre la presenza di propri rappresentanti almeno durante le operazioni preparatorie delle divisioni.
Nonostante questi conflitti interni la comunità reagì compattamente al tentativo dell’ Abbazia di Nonantola di riappropriarsi delle terre comuni. Nel 1569 l’Abate commendatario di Nonantola concesse in enfiteusi queste terre ad Emilio Zambeccari. Secondo l’Abate infatti i terreni erano di proprietà dell’Abbazia, che ne aveva anticipatamente investito la comunità santagatese, ma quest’ultima non solo non aveva provveduto a farsi rinnovare la enfiteusi ma aveva anche smesso da tempo di corrispondere il dovuto canone, perdendo così ogni diritto sulle terre. La comunità reagì sostenendo che le terre non erano abbaziali, ma le erano pervenute da una liberalità della contessa Matilde di Canossa, e pare che per meglio sostenere tale tesi provvedesse anche a bruciare tutti i documenti che attestavano i diritti nonantolani.
La lite si trascinò per vari anni e si concluse nel 1576 con una transazione: la comunità si impegnò a versare all’Abbazia 1.000 scudi d’oro, in corrispettivo l’Abate riconobbe la piena proprietà dei terreni alla comunità ad esclusione di 200 biolche, che concesse alla medesima comunità in enfiteusi perpetua, rinnovabile ogni 29 anni e gravata di un canone annuo.
Il controllo esercitato dall’Universitas partecipante sull’operato del consiglio e l’accordo del 1488 che negata a quest’ultimo la capacità di compiere alienazioni delle terre comuni, permisero di salvare nuovamente il patrimonio terriero quando, alla metà del secolo successivo, i conti Caprara, creditore della comunità con garanzia reale, tentarono un giudizio di espropriazione dei beni.
La “magnalite” si protrasse per più di un ventennio e si concluse, come quella con Nonantola, davanti alla Rota romana.
La comunità sostenne che solo l’assemblea dei capi famiglia poteva ipotecare le terre comuni, e che se anche il consiglio fosse stato a ciò autorizzato, la deliberazione doveva essere presa dalla maggioranza di esso e non da soli nove consiglieri, come era avvenuto. La tesi della comunità
finì con il prevalere, e nel 1679 si addivenne ad una transazione.
Durante la lite la posizione dell’Universitas partecipante rispetto al consiglio si venne sempre più rafforzando, riuscendo spesso ad imporre la presenza di propri rappresentanti anche alle sedute consigliari. Finché, nel 1712, il prevalere dell ‘Universitas sul consiglio venne definitivamente sancito con l’ordinanza del Cardinale legato Casoni che sottraeva l’amministrazione dei beni comuni al consiglio e l’affidata ad un nuovo organo, composto da sei assunti nominati dall ‘Universitas partecipante e da sei membri del consiglio. L’amministrazione in tal modo assumeva una figura distinta, e di fatto, anche se non giuridicamente, la Partecipanza era già un ente a sé.
Infatti quando i nuovi principi della Rivoluzione francese, imposti nei territori padani dalle conquiste napoleoniche, portarono anche a Sant’Agata alla creazione di una municipalità aperta a tutti i cittadini, ciò non ebbe ripercussioni sulla amministrazione dei beni comuni che rimase affidata al proprio organo.
Soppressa nel 1807 ed i suoi beni avocati al comune, la Partecipanza di Sant’Agata venne reintegrata nel 1815 dal restaurato governo pontificio che la dichiarò ente autonomo.
La divisione del patrimonio tra Partecipanza e comune non fu però semplice, non riguardo alle terre divisibili, la cui appartenenza alla Partecipanza era indiscutibile, ma relativamente a tutti gli altri beni della comunità: secoli di utilizzo delle rendite fiscali di quelle terre per la necessità dell’intera comunità rendeva infatti assai problematico stabilire a quale dei due enti spettassero i beni acquistati con tali rendite.
Le vicende giuridiche di fine secolo, comuni a tutte le Partecipanze, non ebbero effetti particolari su quella di Sant’ Agata. Nel 1876, a seguito del decreto del Prefetto Capitelli che sottraeva le Partecipanze al controllo statale, venne riformata l’amministrazione, sostituendo all’unico organo che fino ad allora aveva gestito l’ente, l’ Assunteria, la Giunta ed il Consiglio Generale, quest’ultimo con funzioni di controllo sull’operato della prima. Questa struttura non subì modificazioni quando, nel 1894, venne ripristinato il controllo governativo. Infine la personalità giuridica della Partecipanza santagatese venne definitivamente riconosciuta dal D.M. 03.09.1929.
La divisione dei beni della Partecipanza Agraria di Sant’Agata
Allo stato attuale delle ricerche non è possibile stabilire quando a Sant’Agata si incominciarono a ripartire terre comuni. In base ad una affermazione contenuta in uno dei capitolo del 1508 sul buon governo della comunità si può supporre che questa pratica risalga ad una data anteriore.
Nel capitolo X si dice infatti che quella parte del bosco e dei prati comunali che non sarà ritenuta necessaria per far fronte con la sua rendita alle spese della comunità dovrà essere suddivisa tra gli uomini del comune secondo “quello modo e forma che se solea dividere”.
Nessun riferimento all’origine di questa prassi è contenuto nei capitoli emanati in seguito appositamente per regolamentare “il dividere, assignare et godere, detti beni fra essi partecipanti”.
I più antichi di questi capitoli, tra quelli conservati si sono del 1575. In essi come nei successivi del 1598, del 1605-1606, e del 1621, l’attenzione è rivolta essenzialmente a regolamentare il diritto di godimento della parte e il modo di gestirla, ma assai poco è detto sull’iter procedurale della divisione, cui è dedicato in genere un solo capitolo. In esso si stabilisce che il massaro pro tempore insieme con gli assunti delegati dal Consiglio dovranno fare un “Partimento” dei beni comuni, da sottoporre per l’approvazione al consiglio stesso, e quindi inviarlo all’ Assunteria di governo di Bologna per avere la licenza di effettuare il “cavamento” .
Ottenuta l’autorizzazione si nominerà un partecipante pratico ed esperto che provvederà a fare detto “cavamento”, cioè l’assegnazione a sorte dei vari lotti di terreno ai singoli partecipanti.
Sebbene nei capitoli non vi sia altro sulla divisione, dalla documentazione rimastaci, essa risulta essere stata di durata quinquennale fino al 1686, salvo proroghe eccezionali e una interruzione dal 1655 al 1679 dovuta alla causa con i conti Caprara, per poi diventare novennale.
La divisione si svolgeva il giorno di San Michele, cioè il 29 settembre, e ad essa soprintendeva, almeno a partire dal secolo XVII, un senatore bolognese nominato dalla Assunteria di governo.
Fin dal secolo XVI agli assunti del Consiglio si affiancarono alcuni rappresentati del popolo partecipante. Questa partecipazione venne sancita giuridicamente nel 1712 con una ordinanza del Cardinale Legato Casoni. La suddivisione dei terreni si faceva in forma pubblica, procedendo a tutte le misurazioni dei terreni e segnando sull’apposito registro chiamato appunto “partimento dei beni comuni”, le misure ed i confini dei morelli e, all’interno dei morelli, delle singole parti.
Sulla scorta della documentazione conservata non appare chiaro come veniva desunto uno dei dati indispensabili per effettuare il riparto, e cioè il numero degli aventi diritto.
L’iscrizione preliminare alla divisione venne infatti formalizzata per la prima volta nei capitoli del 1774, nei quali si stabilì che un anno prima della data del riparto, coloro che ritenevano di avere diritto di prendervi parte dovevano farsi iscrivere in un apposito registro giustificando questa loro richiesta con la prova di essere discendente legittimo di partecipante, di risiedere stabilmente a Sant’ Agata e di aver pagato regolarmente le tasse sulla parte. In questi capitoli, o in quelli del 1793, così come nei successivi statuti emanati dalla Partecipanza come ente autonomo, alla procedura della divisione sono dedicati un numero sempre maggiore di articoli che provvedono a fissarne l’iter. Dal 1975 la durata del riparto è stata prolungata a 18 anni per usufruire delle provvidenze previste dalle leggi della regione Emilia Romagna a favore delle cooperative agricole ed estese anche alle Partecipanze, purché il periodo di godimento del terreno assegnato non risultasse inferiore ai 18 anni.
Poiché però la durata novennale del riparto è radicata nell’animo dei partecipanti è prevista una revisione degli aventi diritto allo scadere del primo novennio con eventuale redistribuzione delle parti.
Ancora oggi, qualunque sia il giorno in cui viene effettuata l’estrazione, il riparto decorre dal 29 di settembre. L’iscrizione è stata invece anticipata a due anni prima della divisione. Secondo lo statuto in vigore, che ricalca i precedenti, a Sant’ Agata sono partecipanti i discendenti legittimi in linea maschile delle famiglie “originarie”, il cui numero venne probabilmente definito nel corso del secolo XVI e che attualmente ammonta a 18. La qualità del partecipante, che è originaria e si perde solo con la morte, non coincide però con il diritto di utenza, che si acquisisce, dopo la morte di un partecipante, dai suoi legittimi discendenti d’ ambo i sessi.
I partecipanti si dividono in due classi: coloro che godono singolarmente una quota intera (partecipanti capi), e coloro che invece la godono in comunione (partecipanti in comune). Il partecipante capo ha diritto ad una quota intera immediatamente nella prima divisione che segue il decesso del suo ascendente: i partecipanti in comune hanno invece diritto ad una quota intera dopo 15 anni dalla morte del loro avo partecipante capo. Durante questi 15 anni i figli maschi o femmine o loro discendenti con diritto di rappresentazione, godono la quota del loro avo in regime di comunione. Passato in quindicennio i maschi acquistano ciascuno il diritto ad una quota intera, le femmine ad una mezza quota.
La vedova di un partecipante ha diritto ad una quota intera se non vi sono altri discendenti, altrimenti acquisterà separatamente mezza quota. Per essere ammesso alla divisione, il partecipante deve dimostrare di avere avuto il domicilio o la residenza nel territorio comunale di Sant’Agata per tutto il tempo dall’ultimo riparto al nuovo, tranne che in alcuni casi, previsti dallo statuto. Chi sia stato escluso dalla divisione precedente per mancanza di residenza, può essere ammesso alla successiva purché riprenda e mantenga la residenza nel comune due anni prima del 29 settembre dell’anno in cui si deve effettuare il nuovo riparto. Infatti due anni prima del giorno in cui deve cadere la divisione novennale i partecipanti sono invitati ad iscriversi entro il termine tassativo del 3l dicembre successivo, pena l’esclusione. Successivamente, esaminate le iscrizioni ed i titoli di ammissione, viene compilato l’elenco degli eccezionati. Il partecipante escluso ha 20 giorni di tempo per far ricorso alla Giunta e dalla decisione di quest’ultima 15 giorni per appellarsi al Consiglio.
Ultimate queste operazioni e conosciuto il numero preciso dei partecipanti, la Giunta compila un Piano di Divisione. I terreni sono divisi in tanti morelli. Le quote devono essere tante quante occorrono per tacitare i diritti degli utenti ammessi al godimento, dedotte le quote riservate per i bisogni di amministrazione. Le quote devono corrispondere per capacità produttive non per estensione, e vengono attribuite per sorteggio. Entro i termini di due mesi dall’ estrazione viene consegnata al partecipante una cedola di possesso che contiene l’esatta descrizione della quota a lui toccata.
La cedola non viene data finché il partecipante non abbia saldato ogni suo debito verso l’ente.
NOTA 1: il 15 giugno 2008 l’Assemblea ha deliberato il nuovo Statuto, con il ritorno alla divisione Novennale.
Nel nuovo Statuto l’Assemblea ha deliberato anche la eliminazione di alcuni passaggi della così detta “purgazione”.
La definizione dei tempi ora avviene sulla base di date certe e da queste al diritto di partecipare con tempi inferiori rispetto i 15 anni sopra citati.
Inoltre si è adottato un nuovo status ed il conseguente il diritto di voto alle donne.
NOTA 2: il 7 Novembre 2008 il Consiglio ha approvato i due Regolamenti di applicazione.
Per maggiori dettagli si rimanda alla lettura del nuovo STATUTO.