Ricerca per la tesi di laurea

Cândido Mendes è un piccolo paese del Nordest brasiliano, sperduto fra distese infinite di campi, pascoli e macchie di foresta. Per raggiungerlo si atterra a Belém, la città che sorge sulla foce del Rio delle Amazzoni, per poi viaggiare otto ore su un autobus caldo e pieno di bambini, che si ferma lungo la strada per spuntini a base di riso, tapioca e feijoada e che in ogni cittadina viene preso d’assalto da giovani che vendono ai viaggiatori noccioline, manghi e piccole banane rosa.

Il mio arrivo in Brasile, nell’ottobre del 2008, è stato del tutto casuale. Cercavo sul web notizie relative alle Partecipanze Agrarie emiliane per scrivere la mia tesi di laurea, quando trovo per caso il contatto dell’associazione onlus bolognese Pace Adesso grazie alla quale, qualche mese dopo, mi ritrovo a camminare per le strade di Cândido Mendes, a cercare di comunicare con la gente del posto in un misto di idiomi, sguardi e gesti e a viaggiare sul fiume che la attraversa e sulle rive del quale la strada che ti porta in città si arresta e finisce. La cittadina è divisa dal fiume Maracaçumé. Da un lato vi abita la maggior parte della popolazione in case di mattoni o di fango, ci sono negozi e  piccoli bar, il mercato della carne, del pesce e della frutta, l’ospedale e le scuole. A bordo di una piccola barca presa giù al porto – e dopo una navigazione fra mangrovie e vegetazione verdissima e rigogliosa – si arriva nella Cândido Mendes “al di là del fiume” dove il parroco si reca quasi ogni settimana e dove non esiste luce ed acqua corrente, ci si lava con una mezza noce di cocco piena d’acqua e alla sera ci si riunisce attorno al fuoco per cenare con carne, uova e riso cotto nel latte di cocco.

Cândido Mendes si trova all’interno di un’area che fu, negli anni della dittatura militare, teatro di uno dei disboscamenti e ‘programmi di popolamento pilotato’ più grandi della storia sudamericana e mondiale e che rimane, oggi, uno dei motivi della povertà e dell’impossibilità di accesso alla terra coltivabile da parte della maggioranza dei contadini di questa regione.

Una gigantesca area forestale a est del Rio delle Amazzoni venne identificata come idonea per un popolamento forzato che portò milioni di brasiliani, provenienti dalle aree più povere delle città, in una zona che fino a quel momento era stata foresta – ovvero legname, giacimenti ancora non sfruttati e potenziali pascoli. Venne costruita una strada federale come collegamento fra Belém e São Luis, le due città principali ai lati opposti dei questa area, e venne istituito un organo col compito di distribuire ai futuri coloni – provenienti dalle aree povere di cui abbiamo parlato prima – centinaia di appezzamenti di terra posti ai lati della strada.

Ogni colono aveva il compito di disboscare il proprio piccolo appezzamento terriero per poi avviarlo alla coltivazione diretta volta al sostentamento della propria famiglia. Essi disboscarono, costruirono abitazioni e reti di villaggi e misero a coltura il proprio appezzamento di terra. Ben presto i costi di mantenimento e la poca produttività del terreno, dovuta principalmente all’impossibilità per i contadini di acquistare prodotti per la fertilizzazione, spinsero molti coloni a vendere il proprio appezzamento e i compratori – i soli che potevano permettersi di offrire ai coloni appetibili somme di denaro – erano i grandi imprenditori terrieri che, pezzetto dopo pezzetto, riuscirono a comporre e a creare immensi latifondi.

Il potere centrale aveva quindi raggiunto un duplice obiettivo: disboscare una vasta area amazzonica ed esserne, al contempo, completamente deresponsabilizzato: il potere militare non poté essere accusato del disboscamento diretto in quanto agì attraverso la forza lavoro dei coloni e, contemporaneamente, permise alla classe dei latifondisti e dei politici proprietari terrieri di formare un’aristocrazia fondiaria  il cui potere economico e politico ancora oggi rimane uno degli zoccoli duri della scena politico-economica brasiliana.

E una equa riforma agraria continua a non arrivare. Basti pensare che la quasi totalità delle terre agricole dello stato in cui sorge Cândido Mendes, lo stato federale del Maranhão – che ha una superficie che supera di trentamila chilometri quella dell’intero Stato italiano – è nelle mani di un’unica famiglia di latifondisti. Nessun contadino, in questa situazione, può pensare di riuscire a comprare un pezzetto di terra propria. Il monopolio sulle terre è ciò che perpetua le diseguaglianze e la forbice sociale brasiliana, con una equa riforma agraria che mai è stata fatta e che tarda ad arrivare, chiesta a gran voce da centinaia di contadini e movimenti. Non a caso, il Movimento dos Trabalhadores Sem Terra (MST – “Moviemento dei Lavoratori Senza Terra”) ha, nel Maranhão, uno dei suoi fulcri più attivi.

Cândido Mendes e la sua economia agricola si inserisce quindi in questo contesto. Il progetto che l’associazione Pace Adesso sta portando avanti da molti anni ha avuto come obiettivo quello di creare una “Settima Partecipanza Agraria” e permettere alle famiglie coinvolte nel progetto di beneficiare di una terra coltivabile altrimenti inacessibile. La formula adottata per mantenere l’azienda cooperativa “A fonte de agua viva” – che riunisce i membri della Partecipanza brasiliana – si fonda sullo stesso principio di terra comune, rotazione, estrazione dei lotti ed  assegnazione della terra per un determinato periodo di tempo, su cui si fondano da sempre le Partecipanze emiliane.

Grazie ai finanziamenti di vari enti presenti sul territorio emiliano, fra i quali le Partecipanze Agrarie, sono stati comprati attrezzi agricoli, piante e sementi, vacche e animali e sono state costruite, sul terreno dell’azienda, alcune case per i soci della Partecipanza. Il legame col territorio emiliano, oltre che dalle Partecipanze, è sancito anche dal profondo ricordo ancora presente nella popolazione di Cândido Mendes per Padre Dante Barbanti, il parroco del medicinese che per anni svolse la sua missione proprio in questo paese.

Durante la mia permanenza ho potuto assistere ad alcuni dei momenti della vita dell’azienda. Dalla raccolta di alcuni frutti del lavoro dei campi – fagioli, mandioca e banane – al processo di trasformazione della radice della mandioca nella farina che costituisce la base dell’alimentazione locale. Ho poi potuto assistere ad una delle riunioni dei soci nello spazio comune in cui si svolge la vita dell’azienda. Dopo ore di dibattiti e discussioni animate, dopo aver preso tutte le decisioni sugli argomenti all’ordine del giorno, mi accompagnano col trattore a vedere i campi di fagioli, il bananeto dell’azienda e la parte del terreno in cui hanno deciso di lasciare ricrescere la vegetazione spontanea, popolata da centinaia di esemplari di piccoli mammiferi, uccelli, ragni, caimani e serpenti di cui sembra che nessuno abbia paura. Fortunatemente io vedo solamente un ragno non eccessivamente grande.

Tornati alla base ci aspetta un piatto di riso, mandioca e fagioli – il piatto quotidiano della gente di queste zone – integrato, a volte, con uova, carne e verdure. La frutta tropicale accompagna le ore più calde della giornata, ore in cui anche il minimo sfrozo diventa una vera e propria impresa sudata. Si attaccano le amache alle travi e alle pareti dello spazio comune e si aspetta che la temperatura cali un po’. Poi andremo a vedere le vacche  – quelle che potete vedere nelle fotografie – talmente magre da far paura ma che, nel giro di qualche mese – passata la stagione secca e con l’arrivo della stagione delle piogge e dell’abbondanza – finalmente ingrasseranno un po’.

Dott.sa Sofia Poppi